Brani tratti dall'ultimo libro di Luca Mercalli "Non c'è più tempo"
L’etichetta di catastrofista.
Purtroppo i temi ambientali sono ancora oggi tacciati di catastrofismo, o comunque guardati con sufficienza e marginalità da ampie fette della società. Manca la cultura scientifica diffusa per comprendere che i processi biogeochimici del pianeta sono minacciati dalle attività di sette miliardi e mezzo di umani in modo inedito nella storia geologica del pianeta, al punto che ormai diamo il nome di «Antropocene» alla nostra contemporaneità, l’epoca geologica segnata dai danni pervasivi delle attività umane.
Sono gli economisti che riscaldano il pianeta?
Forse il maggior problema è costituito dalla gran parte degli economisti, i veri sacerdoti del mondo contemporaneo, quotidiani officianti della religione della crescita infinita: non c’è verso di far loro capire che i processi naturali terrestri hanno dei limiti intrinseci. Antonin Pottier ha pubblicato per Seuil nel 2016 il saggio dal titolo esplicito Comment les économistes réchauffent la planète (Come gli economisti riscaldano il pianeta), mettendo in luce il circolo vizioso tra crescita economica e aumento delle emissioni climalteranti. L’ossessiva ricerca del «segno piú» davanti al prodotto interno lordo sembra essere il loro unico obiettivo per il futuro, tutto il resto è secondario. Pensano che la tecnologia cosí come crea danni ambientali li risolverà: vedrete, troveremo una soluzione anche al riscaldamento globale, all’inquinamento dilagante! E cosí intanto possiamo continuare a crescere, senza mettere in discussione i fondamenti di un’economia predatoria, ipocritamente nascosti sotto una mano di vernice verde, di ambientalismo ibridato con il turbocapitalismo. Prima ci ammaliamo, poi speriamo di trovare una cura. Ma questa non è scienza, è un dogma. Del resto ci sono stati molti appelli affinché l’economia si reinventasse, in particolare da parte di gruppi di studenti come la Post-Crash Economics Society e Rethinking Economics.
Nel 2008, il fisico francese Jean-Philippe Bouchaud ha pubblicato su «Nature» l’editoriale Economics need a scientific revolution (L’economia ha bisogno di una rivoluzione scientifica). Tutti inascoltati.”
L’appello dei 15 000 scienziati: ma interessa a qualcuno?
Nel 1992, in occasione della grande conferenza di Rio de Janeiro sull’ambiente, organizzata dalle Nazioni Unite, 1700 scienziati – tra cui la maggior parte dei premi Nobel in discipline scientifiche – firmarono il primo allarme all’Umanità in relazione al degrado ambientale. Gli scienziati consigliavano una stabilizzazione demografica, indicando come il gran numero di esseri umani stia esercitando una tale pressione sulla Terra da rendere vano qualsiasi altro sforzo per permettere un futuro sostenibile, invitavano a ridurre le emissioni di gas climalteranti, abbandonare l’utilizzo di combustibili fossili, frenare la deforestazione e invertire la tendenza al collasso della biodiversità.”
Siamo ormai condannati al collasso?
Qui entra in gioco il fattore tempo. Non ne abbiamo piú per tergiversare. I processi fisici seguono il loro corso e non aspettano i nostri indugi, la nostra lenta acquisizione di consapevolezza, i nostri negoziati. Semplicemente procedono, e pure in modo non lineare, con brusche e irreversibili accelerazioni. Ecco perché ogni giorno perduto accresce le dimensioni del problema e rischia di trasformare una malattia curabile in un male terminale, assoluto. È tutto troppo lento e troppo in ritardo, non serve che ci nascondiamo dietro l’autocompiacimento verso episodici successi ambientali, certo edificanti e ammirevoli finché si vuole, ma ancora annullati dalla schiacciante enormità del sistema «business-as-usual» che li sovrasta e procede senza freni.”
“Siamo condannati», dice il sociologo emerito Mayer Hillman del Policy Studies Institute di Londra intervistato da Patrick Barkham sul «Guardian», il 26 aprile 2018. «Il risultato è la fine della maggior parte della vita sul pianeta perché siamo troppo dipendenti dalla combustione di materiali fossili. Non ci sono mezzi per invertire il processo che sta fondendo le calotte polari. E ben pochi sembrano essere disposti a dirlo». La sua deprimente previsione delle conseguenze dei cambiamenti climatici è la sua «ultima volontà e testamento». Il suo ultimo intervento nella vita pubblica. «Non scriverò piú perché non c’è piú nulla che possa essere detto», ha dichiarato all’Università dell’East Anglia, dove c’è tra l’altro un’ottima scuola di climatologia (ingiustamente vituperata nel falso scandalo dei dati truccati emerso nel 2009 come «climate-gate»). Hillman ha ragione, non c’è altro da aggiungere, la sirena suona l’allarme da decenni e nessuno l’ascolta. Punto.
Ma le sue riflessioni sono comunque importanti:
Dobbiamo smettere di bruciare combustibili fossili. Innumerevoli aspetti della vita dipendono dai combustibili fossili, tranne la musica e l’amore, l’educazione e la felicità. Queste cose, che utilizzano poca energia fossile, sono ciò su cui dobbiamo concentrarci. Altrimenti quale eredità lasceremo alle generazioni future? All’inizio del XXI secolo non abbiamo fatto nulla di buono in risposta ai cambiamenti climatici. I nostri figli e nipoti saranno straordinariamente critici.”
Per quanto Hillman non abbia piú preso un aereo da piú di vent’anni come impegno personale per ridurre le emissioni di carbonio, ora è sprezzante verso l’azione individuale che descrive come «buona ma futile». Invece è l’intera popolazione mondiale che dovrebbe muoversi globalmente verso zero emissioni attraverso l’agricoltura sostenibile, minori viaggi aerei di persone e merci, riscaldamento efficiente delle case, insomma ogni aspetto della nostra economia, e pure la riduzione della popolazione umana. Si può fare tutto ciò senza un crollo della civiltà? «Non penso, – afferma Hillman. – Te la vedi una democrazia che rinuncia volontariamente a volare? Te la vedi la maggioranza della popolazione diventare vegetariana? Te la vedi la maggioranza che accetta di limitare le nascite?» Hillman dubita che l’ingegno umano possa trovare una soluzione tecnologica ai danni climatici, cosí
le persone ricche saranno in grado di adattarsi meglio, ma la massa della popolazione mondiale cercherà rifugio verso regioni del pianeta come l’Europa settentrionale, che sarà temporaneamente risparmiata dagli effetti estremi del cambiamento climatico. In che modo queste regioni risponderanno? Lo vediamo ora. Ai migranti verrà impedito di arrivare. Li lasceremo annegare.
Hillman accusa tutti i leader – da quelli religiosi agli scienziati ai politici – di non discutere onestamente di cosa dobbiamo fare per raggiungere zero emissioni di carbonio. «Non penso che possano, perché la società non è organizzata per consentire loro di farlo. L’attenzione dei partiti politici è sull’occupazione e sulla crescita del Pil, che dipendono dai combustibili fossili!» È vero che senza speranza rischieremo di arrenderci. Eppure anche il cieco tecno-ottimismo è una strada fallace e non porta a sufficienti sforzi nel presente. Forse accettare che la nostra civiltà sia condannata potrebbe scuotere l’umanità, come un individuo che riconosce di essere malato terminale: queste persone raramente vanno incontro a una baldoria finale, mentre fanno tutto il possibile per prolungare le loro vite, osserva Hillman! Sarebbe una sorta di catastrofismo illuminato, come quello teorizzato da Jean-Pierre Dupuy: accettare di essere già dentro la catastrofe per scongiurarla, per mitigarla. La nostra civiltà potrà dunque sopravvivere a questo secolo? «DipendWant to add a caption to this image? Click the Settings icon.e da ciò che siamo disposti a fare», conclude Hillman:
L’ostacolo è il capitalismo. Riesci a immaginare che l’industria globale delle compagnie aeree venga smantellata quando centinaia di nuovi aeroporti sono in costruzione in tutto il mondo? È quasi come se volessimo deliberatamente sfidare la natura. Stiamo facendo il contrario di quello che dovremmo fare, con la silenziosa acquiescenza di tutti, e nessuno batte ciglio.
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