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Ecologia Sociale dentro la catastrofe ecologica


2021-1921: centenario della nascita di Murray Bookchin e della morte di Pietro Kropotkin

Full immersion epistemologica nella Natura e nella Storia.

Auto-intervista sulle prospettive dell’Ecologia Sociale dentro la catastrofe ecologica, (riscaldamento globale, inquinamento, pandemie, distruzione di biodiversità, …) conseguenza del dominio e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo sulla donna e sulla natura.

Qual’è il problema?

Il problema lo capiremo cammin facendo ma all’inizio della narrazione forniamo subito la soluzione: è necessaria una full immersion epistemologica nella Natura e nella Storia.


Ma allora, intanto, cosa si intende per Natura?

La Natura è un ricchissimo insieme di epistemologie naturali; si può infatti affermare una sorta di antispecismo radicale, che riconosce nell’intera natura l’esistenza di capacità cognitive e di autorganizzazione che si armonizzano in un equilibrio globale non-gerarchico.


Cioè?

Si tratta di forme e strategie conoscitive mutevoli e adattative che vivono in nicchie locali, ma sono inserite in un ambiente globale terrestre, a sua volta inserito in un ambiente universale cosmologico; le epistemologie naturali sono necessariamente una sintesi di tutti questi elementi.


E la Storia? Noi come specie Homo Sapiens cosa siamo?

Siamo fuoriusciti dalle epistemologie naturali in un processo che ha avuto una forte accelerazione 10-12 mila anni fa, dopo l’ultima glaciazione e con l’inizio dell’agricoltura. Da predatori nomadi siamo diventati “Homo Technologicus” stanziale in cui la tecnologia, da supporto strumentale per la caccia è diventata forma costitutiva e nuova epistemologia artificiale che è andata a sostituire l’intelligenza olistica naturale, assumendo via via forme sempre più specializzate e riduzioniste, molto efficaci per l’economia ma distruttive per gli ecosistemi. Tutte le nostre Scienze più evolute sono semplicistiche acquisizioni di fronte alla complessità e all’intelligenza intrinseca della natura. Il nostro processo di artificializzazione, del quale andiamo molto fieri, ci ha permesso di “progredire” attraverso lo sfruttamento della natura ma ci ha fatti regredire da una intelligenza organica naturale ad un catalogo gerarchico di discipline strumentali, alienanti e inquinanti; come le ha definite Murray Bookchin: “le epistemologie del dominio”. Pensiamo invece per esempio all’epistemologia degli aborigeni che sentono e percepiscono cose che noi civilizzati non non siamo più in grado di intendere.


Il progetto IEIPWA (Indigenous epistemologies and images of public wealth in Amazonia), finanziato dall’UE, ha esaminato le prospettive epistemologiche degli indigeni e cioè la teoria della conoscenza e le modalità di conoscenza. Lo studio multi-etnico della regione dell’Amazzonia, chiamato Gent de Centro, spazia dalla Colombia al Perù e include circa 7500 indigeni. L’equipe ha trascritto, organizzato e analizzato il campo dati raccolto tra il 1996 e il 2010. Il lavoro è cominciato con l’analisi delle interpretazioni indigene dello sviluppo. I risultati hanno introdotto le nozioni indigene di ricchezza, valore e benessere e come tali punti di vista influenzano le relazioni interculturali. Le popolazioni indigene della regione dello studio consideravano il denaro occidentale un patogeno. I risultati hanno evidenziato quindi uno scontro tra la visione occidentale e quella indigena del benessere. Ulteriori ricerche hanno rivelato che le epistemologie indigene comportavano sofisticate teorie di cognizione e agire sociale e personale. Tali punti di vista danno forma al senso indigeno della storia e della cultura. Tra le principali differenze rispetto al pensiero occidentale è il concetto di lavoro. Nella cultura indigena, il concetto significa la creazione di persone reali secondo la legge ancestrale. Il concetto riguarda la giusta gestione delle risorse naturali e delle relazioni con i possessori spirituali di tali risorse. In questi termini, l’obiettivo del lavoro giornaliero è massimizzare la salute e l’abbondanza collettiva. https://cordis.europa.eu/article/id/188616-the-study-of-aboriginal-knowledge/it

Ma allora cosa si dovrebbe fare? Questa “full immersion epistemologica” si realizza assimilando le conoscenze evolutive a nostra disposizione e ha lo scopo di riconquistare l’identità organica persa a causa della civilizzazione tecnologica e dello sviluppo della gerarchia e del dominio.


Ma dobbiamo rinunciare alle grandi conquiste della tecnologia?

No, non possiamo certamente disfarcene, peraltro sarebbe semplicistico, sono comunque un portato storico che congloba molto ingegno, dobbiamo secondarizzarle e inserirle in una forma di sapere organico più ampio, guidato dalla razionalità libertaria proposta dall’ecologia sociale. Ispiriamoci infatti alle idee di Murray Bookchin (1921 - 2006).

… una particolarissima, unica specie, l’homo sapiens, si è lentamente andata costruendo un particolare, unico mondo sociale a partire dal mondo naturale. Dal momento che i due mondi interagiscono l’uno con l’altro tramite fasi altamente complesse dell’evoluzione, è divenuto importante parlare di ecologia sociale tanto quanto di ecologia naturale.… l’ecologia sociale fornisce ben più di una semplice critica della frattura tra uomo e natura, essa pone anche l’esigenza di trascendere radicalmente l’una e l’altra categoria.

l’ecologia si basa su questo principio fondamentale: la totalità ecologica non è omogeneità immutabile ma semmai proprio il suo contrario: una dinamica unità nella diversità. In natura, l’equilibrio e l’armonia sono il risultato di una differenziazione sempre mutevole, di una diversità in continua espansione. La stabilità ecologica è funzione non della semplicità e dell’omogeneità ma della complessità e della varietà. La capacità da parte di un ecosistema di conservare la sua integrità dipende non dall’uniformità dell’ambiente ma dalla sua diversità.

la storia è altrettanto importante della forma e della struttura. In larga misura la storia di un fenomeno è il fenomeno stesso. Noi siamo, in senso proprio, tutto ciò che è esistito prima di noi e, a nostra volta, possiamo diventare assai più di quello che siamo. È stupefacente come, nell’evoluzione naturale e sociale delle forme di vita, assai poco sia andato perso; perfino nei nostri corpi, come attesta il nostro sviluppo embrionale. L’evoluzione è dentro di noi (così come attorno a noi), elemento della nostra natura vera e propria.

(Brani tratti da L’Ecologia della Libertà di M. Bookchin 1980)


Una rivoluzione culturale quindi?

Abbiamo bisogno di una rinaturalizzazione della nostra cultura, appunto di sviluppare anche un’ecologia della mente e questo può avvenire attraverso un percorso collettivo di auto-istruzione, tracciato attraverso la selezione della migliore produzione letteraria, filosofica e scientifica a nostra disposizione. In particolare la paleo-antropologia oggi ci permette di superare la distinzione formale fra storia e preistoria ed immedesimarci nell’intero percorso evolutivo di Homo Sapiens, capire non solo come all’interno delle comunità umane si è avuto lo sviluppo della gerarchia e del dominio ma anche quali sono i problemi intrinseci che l’evoluzione della specie si porta con sé. Si badi bene che quest’ultimo è un punto innovativo, che forse lo stesso Bookchin ha sottovalutato.


Ma in pratica che si fa?

Molte delle cose che si stanno già facendo, solo che è necessario riagganciare la pratica alla teoria e infatti a questo punto si può ricordare il discorso dell’integrazione fra lavoro manuale e lavoro intellettuale sul quale è interessante riproporre la rilettura a cento anni dalla morte, del lavoro di Pietro Kropotkin, ancora molto attuale e utile per capire in che modo intervenire sul problema della scuola e dell’istruzione in generale.


Come dovrebbero essere impostate la nuova scuola e la nuova istruzione?

Un brillante esempio di come Storia e Natura si fondono assieme e assieme devono essere studiate, in un ottica evoluzionista, ci è fornito dal famoso cosmologo Chris Impey che inizia la prefazione al suo libro “How it Ends” (2010) con questi pensieri:


"L'universo è fatto di storie, non di atomi", ha detto la poetessa ed attivista politica Muriel Rukeyser. Sono d'accordo. Uno dei più grandi miti della scienza è che è costituita da nient’altro che noiosi e ostinati fatti. Il mito si scioglie di fronte alla narrazione potente che la scienza ha creato per aiutarci ad organizzare e capire il mondo. Abbiamo una storia di come l'universo è passato da un briciolo di spazio-tempo allo splendore di 50 miliardi di galassie. Abbiamo una storia di come un brodo di molecole sulla Terra primordiale si è trasformato in carne e sangue. E abbiamo una storia di come uno dei milioni di specie si è evoluta per tenere quei 50 miliardi di galassie all'interno della sua testa.

Ma quale utilità ha tutto questo?

Serve a raggiungere la “coscienza di specie” cioè a risolvere il problema dell’unità nella diversità fra i/le sempre più numerosi/e appartenenti alla specie Homo Sapiens. Un risultato che si può realizzare solo se ogni appartenente alla specie si sintonizza con tutto l’insieme e ciò può avvenire attraverso questo percorso di immersione che porta alla consapevolezza di chi siamo e di qual’è il nostro posto nel Pianeta Terra. Questo progetto può essere trasformato addirittura in un programma scolastico, organizzato per approssimazioni successive, iniziando attraverso una semplice narrazione, raggiungendo, via via, in modo armonico, lo stadio più avanzato delle conoscenze; in questo modo si arriva a quella che oltre 100 anni fa Kropotkin chiamava “filosofia di sintesi”, ovviamente ammodernata alle conoscenze attuali.


…l’anarchia è qualche cosa di più di un semplice metodo d'azione, del semplice ideale di una società libera; l'anarchia fa parte di una filosofia naturale e sociale..
… Il suo metodo è quello delle scienze naturali, e in base a questo metodo ogni conclusione scientifica dev’essere verificata. La sua tendenza è di fondare una filosofia di sintesi, che includa tutti i fatti della natura, compresa la vita delle società umane e i loro problemi economici, politici e morali.

Un esempio più moderno?

E’ particolarmente entusiasmante il pensiero dell’eco-fisico Luigi Sertorio (1933 - 2018) che indica anche le basi del nuovo approccio energetico, tecnologico e organizzativo che deve e può raggiungere una società di Sapiens di nuova generazione.


L’ipotetica società formata da N esseri umani forniti di 100 watt di potenza media additiva per persona vive in un certo luogo del pianeta Terra con le condizioni biologiche e climatologiche che a tale luogo competono. Sceglie di posizionarsi in zone opportune dal punto di vista dei flussi naturali. Gestisce una opportuna area geografica circostante. Interagisce con altre società vicine e lontane. I membri di tale società sanno che hanno bisogno di fotoni solari, che quindi sono sottratti dai cicli naturali inorganici e dalla catena trofica della biosfera, hanno bisogno di acqua sottratta dai cicli naturali, hanno bisogno di energia cinetica dei venti, da sottrarre dai cicli atmosferici che distribuiscono le nuvole, e la pioggia e l’evaporazione su tutta la Terra. Questi uomini sono figli della scienza e sanno che ogni modifica artificialmente apportata ai cicli biologici e ai cicli inorganici si ripercuote su tutta la dinamica terrestre. Essi sanno che toccare un ciclo naturale è come attaccare un chewingum alla cassa di uno Stradivari: cambia il suono, ma la relazione esatta fra la massa del chewingum, la posizione in cui lo si appiccica e lo spettro di frequenze del suono risultante non la si conoscerà mai. Dunque essi sanno che se bruciamo una foresta qui, tutte le altre società intelligenti se ne accorgeranno osservando gli effetti che arriveranno là; se fanno una diga, una centrale eolica, una centrale fototermica ecc., tutte le altre società intelligenti se ne accorgeranno ovunque siano. Dovranno allora mettersi d’accordo. Le strutture politiche nazionali ed internazionali non saranno certo simili a quelle presenti. Questi uomini figli della scienza si sono posti il compito di operare in modo tale che esseri umani memori del loro insegnamento possano esistere fra un miliardo di anni. Essi dunque sanno che i manufatti appartenenti alla chimica inorganica che producono devono potersi trasformare spontaneamente in fotoni terrestri in un consono periodo di tempo. Capiranno che possono perseguire due strade: 1) Non produrre più scorie. 2) Nascondere le scorie sotto la crosta terrestre ed eiettarle nello spazio extraterrestre. Ne segue che il vero problema posto alla scienza futura è l’output; creare qualsiasi manufatto purché si trasformi in fotoni»

Luigi Sertorio “100 watt per il prossimo miliardo di anni” pag 99,100,101 (2008)


Un controesempio?

Particolarmente interessante per gli attivisti politici è confrontarsi con il pensiero pessimista e direi anche teoricamente sbagliato e regressivo, del fisico Carlo Rovelli, oramai una star dei media, che nel 1977 era un attivista dell’autonomia bolognese e faceva parte della famosa “Radio Alice” chiusa attraverso un assalto delle f.d.o. il 12 marzo, dopo l’assassinio del compagno di Lotta Continua, Francesco Lorusso, da parte di un carabiniere avvenuta l’11 marzo ‘77.


Penso che la nostra specie non durerà a lungo. Non pare avere la stoffa delle tartarughe, che hanno continuato ad esistere simili a se stesse per centinaia di milioni di anni, centinaia di volte di più di quanto siamo esistiti noi. Apparteniamo a un genere di specie a vita breve. I nostri cugini si sono già tutti estinti. E noi facciamo danni. I cambiamenti climatici e ambientali che abbiamo innescato sono stati brutali e difficilmente ci risparmieranno. Per la Terra sarà un piccolo blip irrilevante, ma non credo che noi li passeremo indenni; tanto più dato che l’opinione pubblica e la politica preferiscono ignorare i pericoli che stiamo correndo e mettere la testa sotto la sabbia. Siamo forse la sola specie sulla Terra consapevole dell’inevitabilità della nostra morte individuale: temo che presto dovremmo diventare anche la specie che vedrà consapevolmente arrivare la propria fine, o quanto meno la fine della propria civiltà. Come sappiamo affrontare, più o meno bene, la nostra morte individuale, così affronteremo il crollo della nostra civiltà. Non è molto diverso. E non sarà certo la prima civiltà a crollare. I Maya e Creta ci sono già passati. Nasciamo e moriamo come nascono e muoiono le stelle, sia individualmente che collettivamente. Questa è la nostra realtà.”

Carlo Rovelli “Sette brevi lezioni di fisica” (2014)


Conclusioni?

Siamo nel 2021, nel centenario della nascita di Murray Bookchin e della morte di Pietro Kropotkin, si tratta di un’ottima occasione per una riflessione storica e teorica sull’anarchismo che è l’unica base ideologica sulla quale si può costruire una strategia coerente per realizzare una società sostenibile, ecologica, femminista, libertaria ed egualitaria. Se le cose stanno così allora l’anarchismo ha anche la responsabilità storica di intraprendere un intenso e caratterizzato percorso di elaborazione per portare avanti, in teoria in pratica, questo programma, che finalmente può aprire la possibilità storica di abbattere il Capitalismo, lo Stato il Patriarcato e ogni forma di Potere.

Questo è il problema, ma temo che non verrà risolto.


Paolo De Toni San Giorgio di Nogaro 15 marzo 2021


Nota. All’inizio della pandemia, nel marzo - aprile dello scorso anno, si è formato il “Digital Social Ecology Group” che in termini di “politica a distanza” ha al suo attivo tre documenti sulla pandemia (pubblicati su www.ecologiasociale.info) e il ricordo, in video-conferenza, degli anniversari della nascita Bookchin e della morte di Kropotkin.

Articolo pubblicato sul giornale anarchico Germinal n. 130 maggio 2021

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